L’emergenza ci costringe a comunicare in modo più mirato

31.03.2020

Stiamo vivendo una situazione impensabile solo fino ad un mese e mezzo fa, abbiamo dovuto cambiare molto nelle nostre abitudini, purtroppo l'incertezza attanaglia un po' tutti, così come le preoccupazioni per il dopo. Se però una cosa ci ha concesso questa emergenza, è quella di avere più tempo per pensare, o meglio più tempo che sarebbe auspicabile utilizzare per pensare, pianificare, prendere in considerazione strategie comunicative che non avremmo mai considerato nella frenetica operatività quotidiana. Ora è possibile esplorare nuovi territori, provare cose che non si erano mai provate in tema di contenuti, sempre stressati da quel dilemma tempo/risultati che purtroppo spesso fa si che molti aspetti vengano portati avanti semplicemente come si è sempre fatto, con un'inerzia che oramai forse aveva perso ogni energia e capacità di colpire e raggiungere i propri obiettivi. L'emergenza rende forse ancora più importante comunicare il valore del proprio brand, affermare la propria presenza e anche fare sentire la propria vicinanza ai clienti, intrattenerli, interessarli, farli sentire sempre parte di una comunità. Il cambiamento in questo senso lo trovo già molto visibile, anche nel settore automotive. Mi sembra che la comunicazione abbia acquistato maggior incisività, trovo una ricerca per aspetti prima secondo me trascurati. Il valore del marchio che va al di la del singolo prodotto fresco di lancio, raccontare storie e non semplicemente pubblicizzare, inserire aspetti etici ed empatici con il proprio target ad esempio. Non solo case produttrici, ma anche e, soprattutto, concessionarie, hanno iniziato a raccontare in modo differente, coinvolgendo il loro pubblico in racconti su modelli iconici del passato, storie che possono essere condivise da molti perché hanno a che fare con i ricordi andando a toccare corde emozionali prima forse troppo sacrificate in favore della "rata mensile" per acquistare la vettura in questione. Vedo una ricerca sui contenuti che prima non c'era, o c'era in minima parte, un voler far sentire la propria vicinanza ai clienti e quella tra loro come appartenenti ad una comunità che si riconosce in determinati valori e passioni. Una strada che mi sembra essere vincente e distintiva anche quando l'emergenza sarà rientrata e forse dovremo provare a ricostruire qualcosa di meglio, riscoprire magari qualcosa del passato, abbandonare qualcosa del presente e pensare ad un futuro che possa tornare a fare sognare. Quello che non vorrei venisse abbandonato, una volta terminata questa sospensione dalla realtà, una volta che potremo rivedere un'alba sul mare, è questo modo di comunicare più empatico, più emozionale, più umano, più legato alla storia ed ai valori dei marchi, questa creazione di senso di appartenenza.

Marco Fasoli